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Libertà di Cura: Una Riflessione

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Di Eric Fleischmann. Originale: Some Thoughts on Liberating Medication, del 28 gennaio 2022. Traduzione di Enrico Sanna.

Uno dei vanti principali del capitalismo vuole che sia il sistema che meglio fa incontrare domanda e offerta: se hai bisogno di un bene o di un servizio, il mercato capitalistico provvede. All’atto pratico, però, può avvenire l’esatto opposto. Un ottimo esempio in questo senso  (dal mio punto di vista di profano che ha un rapporto con l’industria farmaceutica in quanto consumatore di farmaci) è l’accesso a farmaci importanti come la EpiPen e il trattamento anti-hiv negli Stati Uniti. Il primo ha un prezzo medio attorno ai 700 dollari per due iniettori, mentre per l’altro, a seconda del tipo e a seconda che sia generico o meno, può arrivare a più di 4.000 dollari per 30-60 compresse o capsule. In media, secondo Andrew W. Mulcahy, il prezzo dei farmaci negli Stati Uniti è 2,56 volte quello di altri 32 paesi. Il problema potrebbe esser fatto risalire a come sono strutturate le aziende o all’univeralità del profitto, ma più realisticamente la ragione sta in un’applicazione inflessibile della proprietà intellettuale grazie ad accordi tra lo stato e le aziende. Questo impedisce alla vera concorrenza, che dovrebbe essere il punto forza del capitalismo, di esplicitarsi sul mercato, garantendo diritti esclusivi di produzione a entità specifiche, in genere enormi aziende ma anche piccole canaglie come Martin Shkreli. È così che riescono a mandare alle stelle il prezzo dei farmaci. Nel caso dell’insulina, il prezzo è talmente alto che, come spiega Lucas Kunce, “a determinarlo non è neanche il rapporto domanda-offerta. Semplicemente sono tre aziende che impostano il prezzo sulla base di quanti morti e quante amputazioni il mercato è disposto a sopportare prima che la gente cominci a ribellarsi.”

Il problema può riguardare tutti ma, visti i tanti problemi socio-economici, sono soprattutto i lavoratori, e in particolare gli omosessuali, i neri, i nativi e i disabili, i più colpiti. Certo, c’è il fatto che le cure costano, ma ci sono anche gli alloggi malsani, il mangiare scadente e l’inquinamento, tutte cose che incidono maggiormente sulle persone di bassa condizione sociale. Tutti fattori che creano o accentuano quei problemi che richiedono cure farmacologiche. Ai capitalisti interessa soltanto che i lavoratori abbiano un minimo di capacità professionali e che vivano abbastanza a lungo da produrre e riprodursi, e per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e i medicinali basta che ne abbiano un minimo, o a discrezione, con diritti pieni di clausole. Come dice Karl Marx, il salario rappresenta semplicemente “i costi necessari per conservare l’operaio come operaio e per formarlo come operaio” più “i costi di riproduzione, per cui la razza degli operai viene posta in condizione di moltiplicarsi e di sostituire gli operai logorati dal lavoro con nuovi operai.” Ma anche mettendo da parte la questione (giusta) delle classi, il capitalismo o altro, il problema di base è che ci sono persone che hanno bisogno di medicine, che esistono ma per qualche ragione astratta inventata da chi ha il potere le persone bisognose non possono accedervi facilmente.

La soluzione ovvia consiste nell’eliminare alla radice l’istituzione della proprietà intellettuale, aprendo la strada a, cito Laurance Labadie, “una libera concorrenza, ovvero garantendo accesso equo ai mezzi di produzione, alle materie prime, e ad un mercato senza restrizioni, [così che] il prezzo delle merci rifletta tendenzialmente il lavoro necessario alla loro produzione. In altri termini, il lavoro dovrebbe diventare il fattore dominante nella quantificazione del valore.” E una volta eliminati tutti i monopoli garantiti dallo stato, la proprietà intellettuale e tutto il resto, non solo le medicine diverrebbero più accessibili, ma, citando Kevin Carson

Fatta salva questa soluzione, efficace e radicale ma, almeno per ora, improbabile, resta un’altra strategia extrasistemica percorribile: accedere liberamente a farmaci salvavita fai-da-te tramite internet, praticamente spostando le conoscenze dalla sfera privato-aziendale ai beni comuni digitali.

L’idea non è originale, nasce dall’operato del professor Michael Lauer e della sua squadra Four Thieves Vinegar Collective, che punta a creare strumenti che consentano a chiunque di poter accedere ai mezzi curativi con un computer, degli strumenti chimici elementari e una stampante 3D per stampare certe apparecchiature mediche. Sul sito si trovano anche istruzioni su come fabbricare un “microlaboratorio farmaceutico” o una EpiPen faidatè, e disegni per la stampante 3D. L’idea di base è opera della Open Insulin Foundation, che…

Sempre a proposito di accesso libero e facile, scrive Sebastian A. Stern, “i ricercatori faidatè che operano negli hackerspace possono contribuire significativamente a una formazione formale a basso costo (con il peggioramento dell’istruzione superiore gli spazi di apprendistato diventano preziosi e indispensabili). Lo stato ancora non è intervenuto col pugno di ferro, ma c’è da aspettarsi che lo farà visto che questo genere di libertà minaccia il sistema attuale.”

Un approccio del genere evita del tutto il ricorso allo stato e ai suoi organismi e cerca di risolvere i problemi dall’interno del sistema. E questo è logico! È lo stato in quanto sistema capitalistico la causa principale delle barriere artificiali imposte ai medicinali; tutte le soluzioni che passano dallo stato seguono la logica resa famosa da Robert LeFevre secondo cui “lo stato è una malattia che si presenta come cura”. Le soluzioni basate sull’azione dello stato, come la proposta di Biden riguardo l’insulina all’interno del programma Build Back Better, portano semplicemente a pratiche contorte e estenuanti, un problema molto serio quando è in gioco la vita. Karena Yan, parlando del “limite di costo di 100 dollari al mese sull’acquisto dell’insulina” imposto dal Colorado, nota che…

La Food and Drug Administration (FDA) prima o poi userà la mano pesante contro i farmaci faidatè. Per questo l’ideale sarebbe eludere le istituzioni dello stato finché è possibile. Secondo Milton Friedman “la FDA ha prodotto danni enormi alla salute pubblica aumentando enormemente i costi della ricerca farmaceutica e riducendo di conseguenza la disponibilità di farmaci adeguati, oltre che ritardando l’approvazione di quei medicinali che riescono a passare indenni attraverso i tortuosi procedimenti della FDA”[1]. Ryan Calhoun racconta di un sequestro, nel 2014, di “19.618 confezioni di medicinali su prescrizione ‘non approvati’. È successo semplicemente che la FDA ha privato le persone dei farmaci negando loro qualunque ragionevole possibilità di riaverli.” David D’Amato spiega convincentemente come “associazioni spontanee, servizi di valutazione e di certificazione non vincolanti e in concorrenza tra loro possano benissimo fornire al consumatore quelle informazioni che servono per decidere in maniera sicura e intelligente.”

È chiaro però che questa pratica attira grossi problemi. Condividere informazioni sulle cure faidatè non è illegale e, come scrive Grants Birmingham per il Time, il programma Open Insulin “sembra al sicuro dal punto di vista normativo, ma le cose potrebbero cambiare quando si arriverà a produrre medicinali.” “Se Open Insulin arriva alla fase produttiva, deve conformarsi alle buone pratiche produttive, quelle norme che la FDA impone alle industrie che producono farmaci, alimenti, cosmetici e strumenti medici. E dato che l’associazione ha in programma di condividere online, dunque a livello internazionale, le linee produttive della propria insulina, questo potrebbe attirare nuove rogne legali.” Aggiungiamo poi il pericolo immediato rappresentato dai cocktail di farmaci faidatè. Yvette d’Entremont, nemica della pseudoscienza, è fermamente convinta che “quando si fa una EpiPen le probabilità di sbagliare sono tante. L’idea è pessima.” E poi: Tutto sembra un gioco finché non capita un’infezione e ti ritrovi nel muscolo un ascesso da paura.” Io esiterei a lungo prima di provare una cosa del genere dato l’attuale stadio di sviluppo. Negli Stati Uniti, inoltre, ogni proposta di liberalizzazione dei farmaci deve essere considerata nel contesto dell’attuale pandemia, in cui ci sono persone che fanno disinformazione massiccia sui vaccini, arrivando, sulla base di “ricerche fatte per conto proprio”, a certe stupidaggini come prendere lo sverminante per cavalli; e a tutto ciò si aggiunge la crisi degli oppiacei[2]. È possibile che con la crisi e il crollo del capitalismo statalista i farmaci essenziali verranno resi disponibili tramite le succitate cooperative ospedaliere di zona e i medici scalzi in versione nordamericana a basso prezzo. Per ora io, che, beninteso, non sono né uno scienziato né un professionista delle medicina, concordo con Josiah Zayner, amministratore delegato dell’azienda di ingegneria genetica faidatè The Odin, che riferendosi all’aceto dei quattro ladri lo definisce “la realizzazione di un concetto… il primo passo verso l’innovazione.”

Dati questi seri problemi, si sarebbe portati a puntare su soluzioni più accettabili ma sempre decentralizzate e disponibili in forma di cooperative di assicurazione sanitaria, società di mutuo soccorso (magari riportate alla gloria di un tempo), opere religiose per l’assistenza condivisa, ambulatori liberi (alla maniera del Black Panther Party), cooperative per l’acquisto di medicinali (gestite da persone comuni, non da farmacisti) e così via. Come scrive Logan Glitterbomb,

Grazie a idee del genere è possibile creare un’infrastruttura sanitaria a due motori. Tolte le precedenti critiche al libero accesso alle cure faidatè, un grosso vantaggio di questa pratica è che non si limita a dare alla gente ciò che gli occorre per vivere bene, o semplicemente per vivere, ma attacca la causa principale dei costi artificialmente alti (la proprietà intellettuale) e, rendendo di dominio pubblico le informazioni, decentra le conoscenze in fatto di medicinali. L’attuale sistema farmaceutico, al contrario dei suoi predecessori non patriarcali, si basa su un’élite di professionisti fortemente qualificati[3]. È certo importante che ci siano esperti e specialisti (come evidenziato dall’ignoranza di grosse porzioni della popolazione statunitense in questa pandemia), ma non c’è nessuna buona ragione per diffondere l’iperspecializzazione e le normative stringenti, pubbliche e private, che servono solo a dare a una piccola élite di istituzioni altamente specialistiche l’accesso a importanti conoscenze.

Ma se si vuole un futuro decentrato, la liberazione della cura deve andare oltre le stampanti 3D e i kit faidatè. Bisogna arrivare a pratiche sanitarie comunitarie che elimino l’autoritarismo. Così scrive Simon the Simpler:

Con un insieme di tecnologie mediche decentrate e un passaggio a questo genere di pratiche sanitarie, forse la liberazione della cura è alle porte.

Note

1. Non riesco a trovare la fonte.

2. Non molto si può dire oltre a ciò che è già stato detto sul fatto che la crisi degli oppiacei non è il prodotto di un inesistente libero mercato ma dello stato corporativo; una veduta veramente libertaria sul covid la possiamo trovare in Pandemia: Lo Stato Cura o Provoca? di Kevin Carson, e in Libertarianism vs Psychopathic Dumbfuckery di Andrew Kemle.

3. Vedi: Barbara Ehrenreich’s Witches, Midwives, and Nurses: A History of Women Healers.

4. Per non parlare del potere biopolitico della medicina moderna teorizzato da Michel Foucault, materiale per un intero articolo.

The Center for a Stateless Society (www.c4ss.org) is a media center working to build awareness of the market anarchist alternative


Source: https://c4ss.org/content/56238


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